“LA FORMAZIONE DELLA CATENA MONTUOSA DEI MONTI LATTARI”
- Archeoclub Stabiae
- 5 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 mag 2020

Piccola cascata nei boschi di Quisisana

Ruscello nei boschi di Quisisana

Interno grotta del Brigante
Questo articolo di divulgazione scientifica, scritto dal Prof. Aldo Cinque, è dedicato alla dorsale dei Monti Lattari ed al suo naturale prolungamento occidentale, che è dato dai rilievi formanti la Penisola Sorrentina e l’isola di Capri. Queste tre entità geografiche formano un’unica struttura geologica sollevata che si allunga in direzione ENE-OSO e separa le due aree ribassate nelle quali sono ospitati il Golfo di Napoli e la Piana Campana, a Nord, ed il Golfo di Salerno e la Piana del Sele, a Sud.Le rocce stratificate che formano l’ossatura dei rilievi in questione sono di tipo sedimentario e si formarono in ambiente marino durante l’Era Mesozoica[1]. Si tratta di rocce carbonatiche e, più esattamente, di calcari e dolomie[2]che si formarono per l’indurimento di fanghi sottomarini composti per lo più di gusci e scheletri dei microscopici organismi planctonici (fanghi organogeni). Alcuni strati sono però ricchi anche di resti fossili visibili ad occhio nudo (conchiglie di lamellibranchi e gasteropodi; alghe e coralli).L’ambiente nel quale si andarono stratificando questi sedimenti era una amplissima e tranquilla laguna, bordata tutt’intorno da una barriera biocostruita, a tratti emergente, che separava la laguna da circostanti ambienti di mare profondo (piattaforma carbonatica intr-oceanica); uno scenario del tutto equivalente a quello che troviamo oggi attivo nelle Bahamas. La piattaforma era soggetta a lentissimo sprofondamento (circa tre millimetri per secolo, mediamente), ma il progressivo accumulo di fanghi organogeni riusciva a controbilanciare tale abbassamento, impedendo che l’erea divenisse sede di un mare profondo. Al contrario, la lama d’acqua non superò mai una ventina di metri e si ebbero anche frequenti, ma brevi, momenti di leggera emersione. Fu in un simile scenario che, nel giro di circa centocinquata milioni di anni si accumularono circa 4500 metri di sedimenti.Tutto ciò avveniva lungo le coste settentrionali del continente africano ed il mare nel quale era collocata la nostra piattaforma era l’oceano Tetide: una sorta di antenato del Mediterraneo, ma molto più vasto, specie in direzione Est-Ovest, che separava i due supercontinenti dell’Eurasia, a Nord, e Africa-Arabia-India-Australia, a Sud. Dato che le placche continentali allora occupavano posizioni diverse da quelle attuali, la nostra piattaforma si trovava molto più vicina all’equatore ed il clima tropicale favoriva una grande ricchezza di forme di vita acquatica.Quando l’Africa cominciò a muoversi verso nord, fino a “cozzare” con la zolla europea, l’oceano Tetide si chiuse e dal corrugamento dei sedimenti che in esso s’erano deposti nacque quella complessa cintura di catene montuose che attraversa sinuosamente l’Europa meridionale dal Rif sino alla zona Caucasica, passando attraverso i monti dell’Atlante, quelli maghrebido-sicani, l’arco calabro-peloritano, gli Appennini, le Alpi ed i rilievi dinaridi ed ellenidi. Come avviene in tutti i casi analoghi che si hanno sulla Terra, lo scontro tra due zolle di crosta terrestre portò una di esse a inflettersi verso il basso ed infilarsi nelle “soffici” rocce, quasi fuse, del mantello terrestre (subduzione). Ma le rocce sedimentarie che formavano la parte alta della zolla (i primi chilometri di sottosuolo) erano troppo leggere per riuscire anche loro a subdurre; quindi esse restarono in superficie, accatastandosi nella zona di scontro e formando, appunto, catene montuose. Riferendosi in particolare all’Appennino meridionale, vediamo che la catena è formata da una catasta di enormi “trucioli” rocciosi (i geologi li chiamano falde tettoniche) ciascuno dei quali ha spessori compresi tra uno e quattro chilometri e si estende arealmente per molte centinaia o alcune migliaia di chilometri quadri. Ciascuna falda è stata staccata dalla placca africana in subduzione ed è stata spinta sopra quelle già accavallatesi in precedenza.Le rocce calcaree e dolomitiche che formano i Monti Lattari appartengono ad una sola delle diverse falde tettoniche che formano l’Appennino meridionale. La stessa falda si estende nella profondità dei due vicini Golfi (sprofondata e sepolta da sedimenti più recenti) e su di una vasta porzione della Campania. Questa falda, come abbiamo visto, deriva da una piattaforma carbonatica che, prima dell’orogenesi, costituiva un bassofondo bordato da barriere coralline lungo il margine africano dell’oceano Tetide. A fianco ad esso esistevano tratti di mare molto profondo nei quali si sedimentavano sequenze di strati di tipo diverso; più ricche di argille, depositi siliciferi ed arenarie (sequenze bacinali). Anche queste sequenze hanno subito le conseguenze della convergenza Africa-Europa e costituiscono altre falde della catena appenninica, sia sottoposte che sovrapposte alla falda di rocce carbonatiche che vediamo affiorare nei Monti Lattari. Per osservare l’accavallamento tettonico della nostra falda carbonatica su di una falda di depositi bacinali dobbiamo spingerci nei Monti Picentini, dove esistono delle “finestre tettoniche” (la più vasta è quella presso Campagna) che squarciano l’unità superiore e fanno vedere i sottostanti depositi di quella falda bacinale che i geologi chiamano Lagonegrese. Anche se non esposto (perchè più profondo che nei Monti Picentini), si deve presumere che un analogo accavallamento esista anche sotto i Monti Lattari. Anche la falda di terreni bacinali che si accavallò su quelli di piattaforma (Falda Sicilide) non è ben testimoniata nei Monti Lattari. Essendo costituita da rocce abbastanza tenere, l’erosione l’ha ampiamente smantellata lasciandone pochi e piccoli lembi residui nella zona sorrentina. Un’area relativamente vicina dove, invece, i terreni sicilidi sono abbastanza ben conservati è quella intorno a Contursi. Continua....
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L'Archeoclub ha scelto di pubblicare questo bellissimo articolo, perché si tratta di un argomento di carattere scientifico, scritto con la sapienza di chi sa trasmettere cose anche complesse, rendendo la lettura molto fluida, comprensibile e capace di trasmettere l'emozione di appartenere ad un territorio conoscendone anche la formazione geologica.
L'articolo apre scenari di studio interessantissimi, per la presenza delle grotte carsiche e dei pesci fossili (Ittioliti) lungo la parete rocciosa che digrada sul mare di Castellammare di Stabia.
Geom. Massimo Santaniello
Articolo a cura del Prof. Aldo Cinque
Pubblicato sul sito: https://agerola.wordpress.com/2006/04/27/breve-storia-geologica-dei-monti-lattari/
Conoscendo la formazione geologica del sito si può comprendere quali ulteriori bellezze possa nascondere anche il sottosuolo, immagino enormi cavità con formazioni di stalattiti e stalagmiti. Cosa che mi confermò qualche anno fa un anziano contadino ormai scomparso, ricordava da piccolo alcune grotte presenti lungo le pareti del rio Calcarella in località Privati a Castellammare di Stabia. Sarebbe molto interessante poterle scoprire.